Io credo che la mancata accettazione della nostra malattia da parte di chi ci sta vicino sia in realtà motivata dalla paura. A volte noi riusciamo a farci forza e ad andare avanti, vinciamo i nostri timori e impariamo a convivere con questa patologia, ma i nostri cari (non solo i genitori: anche i partner oppure gli amici) non riescono a fare il nostro stesso percorso interiore.
Il dolore spaventa, è inutile negarlo. C'è chi reagisce ricoprendo di attenzioni, persino ansie, la persona malata e chi invece non riesce ad affrontare la realtà.
Non so quanto possa servire scontarsi, rivendicare il proprio stato di malato "vero" e non immaginario. Anche se è molto difficile, secondo me l'unica maniera per aiutare un genitore o chi altro ad accettare la malattia è parlarne con calma, cercare di approfondire certi aspetti della patologia, sia quelli più negativi ma anche il fatto che si può imparare a conviverci, spiegare come ci si sente... Insomma, fargliela conoscere, renderlo partecipe e non chiudersi in un guscio dove l'altro sta fuori e si sente escluso.
Lo so, tutto questo non lenisce le ferite che ci provocano certe "uscite" poco felici come quelle che racconta Chiara, ma è un tentativo e secondo me vale la pena provarci.
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Lety
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